DIEGO PERSI PAOLI

D Diego Persi Paoli bassista…innamorato dello strumento o chitarrista pentito ?

R Il basso elettrico è uno strumento che mi ha affascinato fin da subito quando quindicenne lo sentì suonare da Damiano Dattoli bassista eclettico, molto in voga nel panorama musicale milanese dell’epoca siamo a metà degli anni 70.

D Il basso, in sintonia con la batteria in un gruppo è quello che detta il ritmo, ricama, ricuce…solitamente si piazza dietro il chitarrista ed eventuale cantante, ma impensabile un gruppo rock senza questo strumento…

R La “ritmica” (basso batteria) come viene definita dagli addetti ai lavori è qualcosa di imprescindibile nella costruzione dell’arrangiamento di un brano e in tutti i generi musicali così come nel Rock e il Pop dove la scansione del tempo deve essere solida e chiara per permettere alla voce in primis ma anche alla chitarra nelle parti solistiche di avere un riferimento ben solido come una sorta di faro nella nebbia…per me basso e batteria sono come le fondamenta di una casa, se non partiamo dal “basso” è difficile arrivare al tetto.

D Attualmente fai parte del gruppo Basaglia’s Concept Quartet, ottimo gruppo con un nome che solo a Livorno poteva essere pensato…come sei entrato a farne parte?

R Con Giorgio Taurasi caro amico, bravo chitarrista e arrangiatore ci conosciamo da più’ di vent’anni infatti verso la metà degli anni 90 collaborammo in varie formazioni dell’epoca. Dopo esserci persi di vista per diversi anni…mi viene in mente il titolo di un bellissimo film dei fratelli Coen “Non è un paese per vecchi” titolo che cambierei con “Non è un paese per musicisti” l’ Italia, per dire che la vita ti porta a fare scelte diverse, ma questa è un’altra storia… fortunatamente a distanza di tempo abbiamo ripreso il nostro cammino che ci porta a confrontarci su idee musicali e non solo perché se il collante è ovviamente la musica, i valori di condivisione di alcuni aspetti della vita sono altrettanto importanti in special modo oggi. Nascono quindi i Basaglia’s Concept dove l’idea è quella di non essere mai scontati senza dover però essere troppo “dotti musicalmente” o forse sarebbe meglio dire complicati, penso che non bisogna mai dimenticare che il nostro pensiero musicale deve arrivare a chi ascolta destando curiosità e piacere. Da qui ai Basaglia’s Concept Quartet il passo è breve e così entrano a far parte della band due bravi musicisti Mirco Pierini alla tromba e Sergio Consani alla batteria che contribuiscono con il loro talento e “sana pazzia” a completare la formazione.

D Ovviamente non è stato il tuo primo gruppo…

R Ehh no le formazione che si sono susseguite nel corso degli anni sono tante, ricordo gli inizi, avevo 16 anni con mio fratello Claudio bravissimo pianista classico e pop suonare nei night club della Versilia gran palestra fu quella, ho avuto nel tempo la fortuna di spaziare in diversi generi musicali che sicuramente mi hanno permesso di crescere ed essere più duttile musicalmente suonando in formazioni di Fusion, Acid Jazz, Funk, Pop, Rock, Jazz, Country e Surf Music.

D Sound particolare il vostro…fusion, new wave, puntatine di jazz..

R Si, come dicevo prima le influenze musicali nel corso degli anni sono state diverse e tutte interessanti, agli inizi mi piaceva la fusion un genere che con il tempo e andato quasi a scomparire ma per me sempre di grande ispirazione, band come Yellowjackets, Spyro Gyra, Uzeb etc. solo per nominarne alcune, da li l’interesse per il Jazz e poi il ritorno verso generi più “commerciali” ma per niente scontati e semplici da suonare come il rock e il pop, credo e spero che questo mix di generi si riconosca nel sound di Basaglia.

D Ci sono stati bassisti che hanno fatto la storia del rock…Sir Paul McCartney, Peter Entlewsiste e molti altri…quali i tuoi mostri sacri, le tue icone ?

R Quanti bravi Musicisti ci sono stati e ci sono tutt’ora anche se tanti purtroppo ci hanno lasciato chi prematuramente e chi in questi ultimi anni. Propio in questi giorni si è spento Chick Corea. Quando ho iniziato a suonare stava tramontando una stella che anche se non è più tra noi da tanti anni, brilla tutt’ora nel cielo, parlo di Jaco Pastorius chiamarlo bassista è riduttivo, musicista a 360 gradi compositore di brani bellissimi Jaco con il suo talento ha rivoluzionato il modo di suonare il basso elettrico. Un’altro grande bassista e Nathan East con una discografia da paura, trovi la sua firma su migliaia e dico migliaia di produzioni di generi diversi tutte di alto livello. Se guardiamo in casa nostra ci sono due nomi da cui non posso prescindere, Massimo Moricone anche lui non scherza per quanto riguarda le produzioni di livello nazionale e internazionale e infine Dario Deidda musicista apprezzato a livello internazionale con molteplici collaborazioni in formazioni europee.

D Ricordo una tua presenza al Surfer Joe…purtroppo questo virus impedisce di esibirsi e ascoltare musica dal vivo…per quanto vi riguarda, appena possibile, ci sono progetti, magari concerti in città ?

R Mi hai fatto ricordare la piacevole collaborazione con Surfer Joe nella persona di Lorenzo con cui ho condiviso ben 4 anni di musica surf in giro per l’Europa, grazie! Per quanto riguarda i concerti stiamo vivendo un periodo buio dove ancora una volta viene messa ahimè’ in risalto la precarietà del mondo artistico in generale, non farmi dire altro. Per quanto riguarda i progetti, Basaglia continua a scrivere musica fa parte del nostro DNA , siamo sempre pronti per i live quando verrà il momento…speriamo…presto.

D Livorno e la musica…Livorno città dai mille gruppi che non hanno mai brullato veramente…qual’è il tuo rapporto con la città musicale ?

R Un rapporto ai minimi termini, nel senso che ho spesso lavorato fuori dalla provincia poco a Livorno.

D Tutti noi abbiamo un rimpianto che ogni tanto ci fa intristire…musicalmente parlando, qual’è il tuo ?

R Non mi piace guardare indietro, avrei potuto forse emigrare in paesi dove la musica non è considerata solo un hobby.

D Chi è oggi Diego Persi Paoli ?

R Uno spettatore attonito di un mondo che sta cambiando più in fretta di quanto si possa immaginare, nel bene nel male? Questo non lo posso sapere anche se le premesse non sono delle migliori (ai posteri l’ardua sentenza diceva il Manzoni)… Oggi come ieri mi sento come un sognatore irriducibile sempre alla ricerca di uno spunto, una frase musicale, un suono che possa catturarmi, un particolare quasi inafferrabile che lasci in me quella sana insoddisfazione stimolo a continuare questo viaggio nella musica con la musica senza dimenticare un pizzico di buona sana pazzia.

GIORGIO TAURASI

D Giorgio Taurasi chitarrista…immagino un amore per la sei corde nato fin da bambino…

R In realtà non è andata proprio così, la vera irrefrenabile passione è iniziata durante il periodo dell’adolescenza. Prima di quel momento fui avviato allo studio della musica ma, essendo per natura un po’ ribelle, non volli dare continuità a ciò che mi veniva proposto dai genitori, inoltre per il contesto socio-culturale al quale appartenevo lo studente di musica poteva essere oggetto di sgradevoli attenzioni, bullismo incluso.

D Attualmente fai parte del gruppo Basaglia’s Concept Quartet, ottimo gruppo, ottimi musicisti, poi il nome è tutto un programma…come nasce questo “complesso” ?

R Nasce… dall’autoanalisi! Ovviamente scherzo ma fino ad un certo punto, mi spiego: con l’amico e bassista Diego Persi Paoli scriviamo e proviamo i nostri repertori con un approccio che mobilita la nostra massima capacità di concentrazione fino a quando, oltrepassato questo limite, ci troviamo in una dimensione in cui si sperimenta una sorta di inerzia nel proprio modo di suonare, a quel punto si operano i necessari aggiustamenti attraverso l’ascolto reciproco, si fissano nero su bianco le idee più felici, apriamo la prova al quartetto (gli amici e ottimi professionisti Mirco Pierini tromba/flicorno e Sergio Consani Batteria) e il processo riparte senza mai chiudersi definitivamente, la spirale potrebbe essere il nostro logo. Durante questa attività accade che ci facciamo delle grandi risate, ci prendiamo in giro senza pietà e continuiamo a farlo anche durante la cena che dopo condividiamo. Insomma, il lavoro consiste nell’entrare ed uscire da dimensioni molto diverse tra loro e questa dinamica ha il segno della follia, questo rito creativo ha qualcosa di sciamanico e, ripeto, divertente! Ovviamente, dato che le cose non vengono sempre come vorremmo, attraversiamo anche forti momenti di frustrazione, fatica e talvolta ci domandiamo perché lo facciamo con la mente al nostro conto corrente . Lì abbiamo la conferma che qualcosa in noi non funziona davvero ma poi ce ne freghiamo… Da pazzi no?

D Difficile etichettare (che non è mai bello) il vostro sound..chitarra, basso, batteria, tromba e flicorno…fusion può andare bene ?

R “Nu Fusion” forse calza meglio ma non ne siamo sicuri nemmeno noi. Certamente siamo attratti dalle mescolanze timbriche offerte dalla natura dei nostri strumenti, le relative combinazioni e integrando il tutto con quanto l’attuale tecnologia analogica ci mette a disposizione. Non siamo più dei ragazzi e il digitale è per noi un mezzo per guidare l’analogico, non il fine. E poi ci piace giocare un po’ con i generi musicali, ricombinarli tra loro, spesso ironizzare su certi stilemi. Questo modo di procedere però non frammenta mai il nostro sound, ciascuno di noi ha infatti una specie di campanello di allarme al riguardo e poi ve lo immaginate se Mirco si azzardasse a fare un solo in stile messicano? Lo bullizzeremmo ferocemente per il resto della serata! Anzi degli anni a venire!

D Prima dei Basaglia’s hai fatto parte di altre band ?

R Sì molte, dal duo alla Big Band e devo dire che questa è stata una palestra molto bella ma oggi credo che il quartetto sia la migliore formazione; ha il pregio di essere snello e, osservando certi accorgimenti, permette di non rinunciare alla dimensione orchestrale. Vorrei aggiungere una cosa, chi fa questo lavoro spesso si trova a collaborare con colleghi che a volte vede solo per l’occasione del concerto e ovviamente di un paio di prove prima di quest’ultimo; in un certo senso è il repertorio che stabilisce l’ensemble, il repertorio lo “si studia a casa e da piccoli”, così si dice, il resto è un assestamento del gruppo cui segue la performance e poi ti saluti, non è il massimo sinceramente. In altri casi accade che il numero di prove e dei componenti dell’ensemble sia stabilito dal compenso che la committenza mette a disposizione e la cosa acquista un sapore ancora più amaro. Lo dico perché alla fine di tanti gruppi in cui hai militato, quelli veri, quelli in cui hai sviluppato il tuo percorso con soddisfazione professionale, continuità, amicizia, rispetto e crescita reale in un arco di tempo significativo sono pochi, pochi ma buoni.

D Quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri, i chitarristi che imitavi davanti allo specchio?

R Davanti allo specchio non credo di aver mai imitato nessuno salvo qualche espressione buffa di Totò che adoravo, ma chiuso in camera mia quando ero ragazzo e nel mio studio poi, ho amato e amo ancora Frank Zappa e Pat Metheny. Loro sono come due rette parallele, non si incontrano mai date le loro notevoli differenze ma per me sono come due binari; due binari che mi permettono ancora oggi di viaggiare senza deragliare. Probabilmente la mia latente bipolarità è data anche da questa strana sintesi stilistica che io stesso fatico a comprendere

D Questa pandemia ha “troncato le gambe” a tutta l’arte in genere, ancora di più alla musica che senza il contatto con il pubblico perde molta della sua essenza, del suo dare e ricevere emozioni…sapremo riprenderci e tornare a suonare e ascoltare concerti ?

R Me lo auguro con tutto il cuore, mi auguro che l’ascoltatore ritrovi la sua identità e non si senta appagato dal surrogato del concerto proposto dal mondo digitale. Mi auguro anche che, di conseguenza, il musicista non atrofizzi il suo profilo artistico diventando una specie di programmatore di App con cui regalare (anzi vendere), l’illusione di poter della musica in solitudine, ognuno da sé.

D Progetti futuri ?

R Curarmi di questo gruppo, osservarne lo sviluppo, mantenerne l’equilibrio, raccogliere i dati salienti e alimentarne lo spirito. Fare questo, per chi è un po’ folle, rappresenta un orizzonte… Anzi una cura. Se poi questo porterà a qualche risultato di più ampio respiro progettuale (leggi soddisfazione economica o mediatica) meglio ancora, accoglieremo tale risultato come un positivo riflesso del nostro essere musicisti.

D Livorno e la musica, Livorno città della musica…centinaia e centinaia di band sono nate nella nostra città, moltissimi ottimi musicisti intercalano con il dè…eppure…cosa manca per fare il salto di qualità ?

R Manca l’attenzione di coloro che, in qualità di organizzatori di eventi, dovrebbero saper cogliere i segni più genuini del patrimonio culturale cittadino. E’ un dato che essi siano oggi del tutto privi di quel tratto intellettuale proprio di coloro che, secondo le categorie spinoziane si potrebbero definire come conoscenze di terzo genere e cioè quelle che si nutrono delle intuizioni, della penetrazione immediata nell’essenza delle cose. Ora, se il musicista ha il dovere di interagire con la materia della sua arte, plasmarla, rendere significativo il proprio linguaggio, porre un interrogativo al suo ascoltatore, condurlo in un altra dimensione e insieme a lui ricordare che le cose possono essere osservate da infiniti punti di vista allora chi organizza l’evento ha il dovere di creare le condizioni che facilitino questo processo artistico e lo veicolino positivamente orientando così i gusti del pubblico verso l’operato del musicista. Ha inoltre, una volta registrato il feedback dei suoi diversi interlocutori, il dovere morale di documentare il proprio operato rendendolo disponibile a colui che ne raccoglierà l’eredità ma questo a mio avviso non accade e spesso il musicista deve sostituirsi all’organizzatore senza averne però le competenze. Ecco dunque uno dei problemi che tutti abbiamo sotto gli occhi: un ingranaggio che gira vuoto spinto anche da sentimenti non sempre proprio nobili che alla lunga sfibrano e logorano le persone, gli ensemble. La classica guerra tra poveri, tra ruffiani, è quanto di peggio serva alla nostra città alla nostra musica.

D Tutti noi abbiamo il rimpianto di non essere saliti su quel treno che ci stava addirittura aspettando, musicalmente parlando, dove andava quel tuo treno ?

R Non ho mai pensato in termini di treni come occasioni mancate perché alla stazione di treni e quindi di occasioni ce ne sono molte. L’importante è avere in una mano un biglietto per salire e nell’altra, se ne senti il bisogno, il denaro per scendere alla prima stazione e acquistarne un altro e proseguire verso la destinazione che scegli, ecco tutto. Non ho rimpianti, sono un curioso spettatore della mia vita, anzi, ne sono un ascoltatore attivo.

D Chi è oggi Giorgio Taurasi ?

R Un folle sotto mentite spoglie, una persona a suo modo fortunata.