LUIGI CERBONE

D Luigi Cerbone e la sua chitarra…un amore ormai eterno…

R A dire il vero è più un “rapporto complicato”. Comprai la mia prima chitarra a 16 anni e non ho mai imparato a suonarla veramente. Essendo autodidatta e non essendomi mai potuto applicare quanto avrei dovuto, le mie conoscenze dello strumento sono rimaste assai limitate. Compongo e suono ogni cosa ad orecchio, non conosco gli accordi, le varie scale e tanto meno le note sulla tastiera.

D Il tuo primo gruppo se non sbaglio furono i Mildewed, un buon gruppo, che ci dici?

R I Mildewed sono in assoluto uno dei ricordi più belli legati alla mia infanzia. E’ proprio dentro quella minuscola sala prove ricavata nel garage del nostro batterista dell’epoca che scoprii il valore dell’amicizia, lo spirito di sacrificio, la complicità e la condivisione dei sogni. Eravamo tutti coetanei di età compresa fra i 18 e 20 anni e come tutti i ragazzi che iniziano un percorso nel mondo della musica, agognavamo un futuro fatto di tour ed un contratto discografico. Così nei primi anni del 2000 iniziammo a muovere i primi passi nel mondo dello screamo/hardcore tanto caro alle bands d’oltreoceano come Shai Hulud, Beloved, Hopesfall ecc..ecc.. ma quando si è giovani, si è impulsivi e spesso si pecca di presunzione, tant’è che quando iniziammo ad avere una certa visibilità, all’interno della band si formarono alcune prese di posizione mirate a tagliare i rami più deboli.

Ricordo che all’epoca ero l’unico ad avere già un lavoro e alcuni impegni probabilmente ci avrebbero portato inevitabilmente ad allontanarci da casa per settimane o forse per mesi. Non potendo permettermi di seguire i sogni del resto dei componenti, l’allontanamento dalla band fu inevitabile.

D Nel 2007 vede la luce il progetto Elara, Luigi Cerbone come one man band. Perchè questa scelta?

R Con l’allontanamento si spezzarono amicizie decennali e certi avvenimenti, specie se ti investono in determinato periodo della vita, hanno un impatto potentissimo. Così iniziai una sorta di percorso interiore per una ricerca della felicità nelle piccole cose e il primo passo verso questa ricerca fu l’acquisto di un biglietto aereo per l’Islanda.

Partii per un mese in solitaria, vidi paesaggi incredibili e quando tornai avevo la testa così piena di immagini, colori e suoni che si sposavano perfettamente con la musica ambient.

Così al mio ritorno cercai di trasformare in suono tutto ciò che avevo assorbito durante quel lungo viaggio; volevo creare un qualcosa di emotivamente potente, intimo e personale. Un qualcosa che non fosse filtrato dalla testa di altri musicisti. Era un progetto mio, ero io.

D Comunque subito dopo l’uscita del tuo ep “Stary night in a cold november” del 2008, nel 2011 dai vita nuovamente ad un gruppo stabile, con l’ingresso di un basso e batteria, un trio classico…

R Alessio e Vincenzo in quel periodo avevano un progetto post-metal appena naufragato e quando mi chiesero se fossi intenzionato nel trasformare il mio progetto ambient in un progetto post-rock strumentale con più membri, io accettai. Complice la curiosità nel cercare di fare qualcosa di nuovo anche se meno personale, complice la nostalgia dei palchi, iniziammo da subito con l’aiuto di un po’ di elettroniche, ad adattare i miei vecchi brani con la più classica delle formazioni.

D Nel 2012 firmate addirittura per l’etichetta statunitense Fluttery Records che permette l’uscita di “Soundtrack for a quiet place”, una bella soddisfazione

R Passammo un anno intero a riarrangiare i pezzi, a cercare gli incastri di note più belli e, terminata la lavorazione, ci rinchiudemmo al Domination Studio di San Marino e poi spedimmo il master a Greg Calbi dello Sterling Studio di New York. Il prodotto finito suonava meravigliosamente bene e iniziammo a spedire il “demo” come si faceva una volta.

Ricordo ancora quando mi arrivò la mail sul cellulare: in quel periodo ero alle Svalbard in tenda e il segnale andava e veniva. Lessi la mail più volte e fra la morsa allo stomaco e la botta di adrenalina ricordo ancora la frustrazione nel non riuscire a comunicare con il resto della band in Italia. La Fluttery Records, una delle etichette più in vista nel panorama post-rock era rimasta colpita dal prodotto e ci inviò il contratto. Fu una bellissima soddisfazione.

La soddisfazione più grande arrivò con il secondo disco “In the depths of time, in an ocean made of stars” il quale riuscì a piazzarsi al 42° posto fra i migliori 50 dischi post-rock del 2015.

D Attualmente il progetto Elara è in stand by…che è successo?

R Qualche mese fa introducemmo un quarto elemento all’interno del gruppo e iniziammo la stesura del terzo lavoro. Poi alcuni eventi della mia sfera privata hanno avuto un impatto più forte del previsto e quindi tutto si è fermato.

D Luigi quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri?

R Ho un amore incondizionato verso i Sigur Ròs e le varie produzioni del cantante Jon Thor Birgisson. Ludovico Einaudi, Max Richter, Olafur Arnalds e Johann Johannsson completano il cerchio.

D La città di Livorno è sempre stata generosa nello “sfornare” ottimi musicisti; quale è il tuo rapporto, con la scena musicale cittadina e con i tuoi colleghi musicisti?

R Chi fa parte di una band nel cecinese, tende a frequentare uno o due luoghi in particolare della zona. Va da se che alla fine ci conosciamo tutti e lentamente si sono instaurati dei bellissimi rapporti di amicizia che vanno oltre l’interesse e la passione per la musica.

D Ognuno di noi ha un rimpianto per una occasione non sfruttata a dovere, una occasione che avrebbe potuto cambiare la nostra vita; sempre in ambito musicale qual’è la tua grande occasione perduta, quel treno sul quale non sei salito all’ultimo momento?

R Non credo di aver perso un vero e proprio treno. Certo, avrei potuto fare delle scelte diverse in passato ma se mi guardo indietro non ho nessun rimpianto e posso ritenermi soddisfatto e felice del percorso intrapreso con entrambe le band. Se ci penso, quello che desideravo dalla musica, alla fine nel mio piccolo l’ho ottenuto.

D Chi è oggi Luigi Cerbone?

R Bella domanda.

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