“Concetta” – Gang

Concetta” è la canzone che preferisco dell’ultimo lavoro dei fratelli Severini (Gang), “Ritorno al fuoco”.

Fin dalle prime note si ha la sensazione di trovarsi davanti ad una di quelle canzoni che hanno fatto la storia dei fratelli marchigiani.

C’è qualcosa di epico dalle prime battute che la colloca accanto a canzoni come “La pianura dei sette fratelli”, “Sesto San Giovanni”, “Oltre”…

La Concetta della canzone non è altro che Concetta Candido, addetta alle pulizie in una grande birreria di Settimo Torinese che la mattina del 27 giugno 2017, nella sede dell’INPS di Torino Nord, in Corso Giulio Cesare 290, si cosparge di alcol e si dà fuoco.

Concetta è stata licenziata, si ritrova senza lavoro, senza stipendio, senza niente.

Sceglie il fuoco come protesta.

Il testo della canzone suscita commozione e rabbia…è un pugno nello stomaco e uno in pieno volto.

Concetta vive in periferia dove “la ruggine cresce anche sui fiori”.

E’ sola, disperata e si accorge che ogni giorno è come morire.

Per questo “non vuol morire più”.

Il fuoco divampa e l’immagine che ci trasmettono Sandro e Marino è cruda, feroce, straziante, ma tremendamente vera: “E bruciano le mani, bruciano gli anelli, bruciano i capelli”, ma soprattutto “Brucia la speranza”. Quella speranza che Concetta aveva riposto nel suo lavoro, lavoro che le garantiva un futuro.

E allora “il fuoco è la risposta, il fuoco è vivavoce, grido di rivolta”.

Ma la cosa che fa più male a Concetta e a tutti noi è la quasi indifferenza che il suo gesto ha prodotto nei colleghi, nei politici, persino nei vicini e purtroppo anche nella comunità sindacale e operai di Torino…”Un tempo era la fabbrica, la lotta e il sindacato, ne han fatto una riserva chiusa tra il raccordo e la ferrovia”.

Il finale della canzone è un vero e proprio atto di accusa contro la città piemontese : “Torino tu che dici ? Torino tu che fai ? Torino non importa, hai altro a cui pensare…Torino che ne sai , tu che non hai mai visto il mare…”

Una città lontana, tutta presa magari a festeggiare l’ennesimo scudetto juventino appena vinto.

Versi accusatori e laceranti verso una città “indifferente”…indifferenti che i fratelli Severini hanno sempre odiato, persone che non si schierano, persone che si fanno da parte…indifferenti.

Marino e Sandro invece ti obbligano a schierarti : o stai con il Reparto Verniciatura o con la sirena della fabbrica, o stai con Eurialo e Niso o con i loro aguzzini, o stai con i Fratelli Cervi o con le camicie nere e appunto, o stai con Concetta o con chi l’ha costretta a darsi fuoco.

Concetta Candido si procurò ustioni fortissime e devastanti in tutto il corpo, lotterà tra la vita e la morte per molti mesi, ma è viva.

Il suo gesto è già stato dimendicato da tutti, come quello di Jan Palach, Mohammed Bovazizi, Thch Quang Duc, Alain Escoffier, Anas Kourwif, ma i Gang, con questa canzone, l’hanno resa “inscordabile”.

EMANUELE BERNARDESCHI

D Emanuele Bernardeschi, cantante e pianista…è nato prima il cantante o è stata una naturale conseguenza di suonare lo strumento ?

R. È un po’ come domandare se è nato prima l’uovo o la gallina, ahahahah!!

Scherzo anche se in realtà da piccolo alle elementari ero la voce bianca della classe ma mi vergognavo come un ladro!! Ho iniziato a cantare a 21 anni, quasi per caso mentre ho iniziato prima a suonare il pianoforte, a 8 anni.

D Hai fatto studi classici o sei autodidatta ?

R. Ho studiato pianoforte classico 8 anni anche se lo studio per me è sempre stato ostico.

Diciamo che ho un buon orecchio: è stata la mia fortuna e la mia croce: infatti mi ritengo un

“menestrello”, non sono un pianista fatto finito ma so suonare un po’ di tutto.

D Attualmente ti esibisci da solo ma hai mai fatto parte di una band ?

R. La parola “attualmente” mi riporta al 10 ottobre 2020, giorno della mia ultima esibizione.

Da quel giorno a oggi no ho più potuto fare niente, come molti. In passato si, ho fatto parte di alcune

Band anche se mai per più di un anno. Fra i gruppi preferisco ricordarne due, gli “Orange”,

formazione milanese e gli Hollowblue, band tutta Livornese. Per il resto ho sempre fatto

tutto da solo, anche quando ho lavorato con Cocciante.

D Il tuo repertorio è a 360 gradi…affronti tutti i generi musicali, ma quale il tuo genere preferito ?

R. Il mio è un repertorio a 360 gradi, 365 giorni, 60 secondi per 60 minuti per 3600 momenti

buoni per emozionarsi, divertirsi, appassionarsi. Non amo un genere specifico ma amo tutto

quello che canto.

D Quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri ?

R. Da bimbetto Cocciante, De Gregori e Baglioni, ero molto classico. Oggi invece mi prende e mi appassiona chiunque potenzialmente, ascolto volentieri tutto Poi ovviamente qualcosa mi prende più di altro. Amo molto i “bei”testi.

D Mentre nell’era beat il piano non era previsto, a partire dagli anni ’70 ha preteso e preso un posto importante all’interno dei gruppi musicali, tanto da diventare quasi indispensabile…come lo spieghi ?

R. Facilissimo!! Diciamo che il Beat correva troppo e appena uno disse “Oh bimbi, più Piano!!”

ecco che il “Piano” prese un posto importante all’interno dei gruppi musicali: oh ragazzi, qualche musicista correva troppo, ovvia!! … Poi il ritmo della vita è stato sempre più veloce, sempre più frenetico ed ecco che “più Piano” dagli anni ’70 in poi è sempre stato oltreché un buon consiglio anche se non molto seguito e uno strumento irrinunciabile in moltissimi arrangiamenti.

D Se ti dico “Notre Dame De Paris” che mi dici ?

R. Parigi! Le so tutte le chiese!!!😁

A parte gli scherzi, in questi giorni ricorre l’anniversario del Ventennale (debuttò in Italia nel 2001) e io sono stato un protagonista assoluto nel Decennale di questo fantasmagorico spettacolo, Quindi oggi è il Decennale del (mio) Decennale!!😁

Notre Dame de Paris è uno spettacolo prodotto in Italia da David Zard, scritto da Pasquale Panella e Riccardo Cocciante, un’opera popolare teatrale moderna talmente spettacolare e unica da emozionare e far venire i brividi ogni volta. Ogni volta!! David Zard per questo spettacolo aveva coniato lo slogan “La musica non è mai stata così spettacolare”. Ed aveva ragione.

D Progetti futuri ? Adesso che sembra ci sia uno spiraglio per esibirsi dal vivo concerti in arrivo da parte tua ?

R. Discorsi e parole tante, ma per ora la situazione e molto nera, triste, difficile e imperscrutabile

Qualcuno ha ricominciato, qualcuno si è reinventato, qualcuno ha smesso, qualcuno si è

sentito male …. per tanti ancora la situazione è in alto

mare e quella luce tanto anelata ancora purtroppo non si vede e …chissà se si vedrà come

prima. In questo anno maledetto però ho conosciuto persone nuove e spero con qualcuna di loro di poter riuscire a fare qualcosa di buono insieme. Anche qui un nome su tutti:

Luca Forni (ascoltate ad esempio questo disco e giudicate voi:

https://lucaforni.bandcamp.com/album/invidio-i-cani)

un genio musicale, un’anima unica, un cantautore con la “C” maiuscola e a cui ora mando con tutto il mio cuore un Immenso Augurio di pronta guarigione che adesso di questo ha bisogno!!!

D Ognuno di noi ha rimorsi e rimpianti…musicalmente parlando, quale il tuo rimpianto più grosso ?

R. Passerò forse da arrogante ma nessuno. Felice, contento e orgoglioso di ogni scelta fatta nel mio percorso. Ogni scelta fatta: rifarei le stesse cose anche se proverei a farle meglio.

D Chi è oggi Emanuele Bernardeschi ?

R. Chi sono sempre stato, un menestrello che ama cantare magari raccontando delle storie e dare dei messaggi per poter “riflettere”, per poter “pensare”. Oggi si pensa e si riflette molto poco. Penso ancora di avere una grande missione.

Grazie per questa opportunità che mi hai dato.

Un saluto a tutti i tuoi lettori e un augurio di future cose belle, ne abbiamo voglia e bisogno!!

Ciao e buona musica!

CORRADO PASSETTI

D Corrado Passetti, cantante e musicista. Quando hai capito che cantare e suonare per te era una cosa importante ?

R L’incontro con la musica avviene prestissimo gia dai 4 anni.

Mio padre , grandissimo amante della musica, mei suoi momenti di relax amava accompagnare i cruciverba con quella che lui definiva “ buona musica “ . Musica leggera anni 50/60.

La mia grande voglia e curiosità mi ha spinto poi ad approcciarmi ad uno strumento che era il pianoforte.

Successivamente sono entrato in conservatorio.

D Nel tuo repertorio molta musica italiana ma non solo…dal pop al funky e persino i Blues Brothers…

R Nel mio repertorio c’è un infinità di musica. Ormai alla solgia dei 52 ( anni) ne è passata di acqua sotto i ponti e sopratutto di note nelle orecchie.

Non amo definirmi cultore di un determinato genere musicale.

La mia fame di conoscenza mi porta ad ascoltare di tutto e “ fare mio” ciò che sento a me vicino.

D Hai mai fatto parte di un gruppo ?

R Piu di uno!

Gia all’età di 15 anni suonavo e cantavo nei vari gruppetti che nascevano nei posto dove si poteva provare.

Non esistevano all’epoca tante sale prove e quindi si provava nelle stanze delle “ Associazioni”

La mia carriera musicale è nata in Piazza Manin all’ Associazione Pionieri.

Con me altri musicisti che poi hanno calcato pachi più o meno importanti.

Poi a 19 anni la voglia di emergere. Sono partito per Milano e ho iniziato prima in Mediaset nella band di Luca Orioli e poi come tournista per la prima giovane e inesperta Laura Pausini, Spagna, Articolo 31 , Alan Sorrenti , Righeira , Den Arrow e altri.

Successivamente quando decisi di abbandonare la vita del girovago ho collaborato per 3 anni con una band itinerante come frontman

Loro sono tutt’ora i Deltasound e facevamo feste di piazza e concerti.

D Attualmente ti esibisci da solo ?

R Attualmente mi esibisco da solo , in duo con un grande amico Matteo Menichetti o con un altro amico Gianluca Fastame.

D Chi sono i tuoi punti di riferimento, i cantanti che imitavi davanti allo specchio fin da bambino ?

R Sai che non ho mai imitato nessuno?

In giovane età mi paragonavano forse per somiglianza a Eros Ramazzotti.

In realtà ho sempre cercato di avere una mia personalità anche reinterpretando canzoni di altri.

I complimenti più belli sono sempre stati quando ti dicono : “ la canti meglio tu dell’originale”.

Ecco li vuol dire che hai fatto un buon lavoro trasmettendo qualcosa di tuo.

D Progetti futuri…pandemia permettendo qualche concerto magari in città ?

R In progetto c’è una nuova band formata da elementi tutti livornesi con la quale ripercorreremo gli anni 70 in chiave disco.

Con me ci saranno anche Matteo Menichetti e Riccardo Carboncini tanto per citarne qualcuno.

Ho finito in pandemia di scrivere uno spettacolo teatrale di arte varia che , apertura dei teatri permettendo, andrà in scena ad Ottobre con il quale festeggerò 35 anni di musica.

Verranno a trovarmi e collaboreranno tanti amici conosciuti e fequestati negli anni.

Collaboro poi da 3 anni con agenzie di animazione per la creazione di tutti i loro jingle e sigle.

D Livorno e la musica…non solo in città ci sono stati e ci sono ottimi musicisti ma anche ottimi cantanti…eppure manca qualcosa per fare il salto di qualità…che ne pensi ?

R Verissimo !

Come in tante altre città mancano strutture che ti permettono di farti conoscere.

Manca una promozione adeguata e manca soprattutto la cultura dell’andare ad ascoltare “ l’inedito”

Ormai i locali che fanno musica sono sempre meno e anche le scuole di musica molte volte tendono ad insegnare lo strumento o il canto ma mai a fare uscire la propria personalità.

Uno dei tanti miei progetti futuri è anche quello , assieme ad altri colleghi, di creare un laboratorio sperimentale di arte varia con la possibiltà , per chi ha doti e personalità, di essere prodotto e pubblicizzato anche fuori della nostra città.

D Stare sul palco e cantare…magari davanti ad una discreta folla…cosa ti passa per la mente in quei momenti ?

R In quei momenti personalmente sono dentro la mia campana di vetro. Cerco di trasmettere a chi sta ascoltando quello che provo io cantando o suonando quel brano.

Niente di più.

D Tutti noi siamo pentiti di non essere saliti su quel famoso treno che ci stava aspettando…musicalmente parlando dove andava il tuo ?

R Il mio è partito e , liberamente, ho scelto di scendere quando era diventato “ una marchetta”

La musica , viverla , non è un lavoro qualsiasi: devi viverci dentro , farla tua, emozionarti.

Quando tutto questo finisce devi girare la vela e approdare da un altra parte.

D Chi è oggi Corradi Passetti ?

R La musica è sempre parte di me , non potrei vivere senza.

I progetti che sto cercando di realizzare sono un evidenza.

Continuo a suonare , creare, comporre , ad ascoltare tutti i tipi di musica in qualsiasi angolo del mondo soprattutto ad ascoltare gli altri.

Corrado adesso è un direttore di centro Odontoiatrico , con una splendida famiglia e un figlio di 5 anni che ha un predilezione e predisposizione alla musica veramente impressionante.

Non lo forzerò mai a diventare un musicista , non è da me.

La sia crescita deve essere spontanea. Chissà !!

NEDO RAGLIANTI

D Nedo Raglianti, bassista in un mondo di chitarre…

R Si bassista e convinto !

D Attualmente fai parte del gruppo Stato Brado, ottima band, ottimi musicisti…come nasce questo progetto ?

R Molti anni fa, avevamo da poco iniziato a suonare, Moreno iniziava a scrivere testi, Alessandro, suo fratello, alla batteria e Dario al sax, poi venne il Fagio, Gianluca e li sono nati gli Stato Brado. Siamo cresciuti con questo progetto. Poi si sono uniti Romano alla tromba e Giovanna Pieri Buti al violino che ha suonato due dischi con noi.

D Stato Brado, sinonimo di assoluta libertà…modo di vita che si rispecchia nella vostra musica…

R Si penso che sia così, abbiamo sempre suonato per il piacere di farlo e sempre in modo genuino, con passione e liberi da ogni convenzione

D Canzone d’autore italiana con pennellate di blues, folk, country di americana memoria…possiamo definirlo così il vostro genere ?

R Non solo, gli ascolti degli elementi della band sono sempre stati diversi ed abbiamo unito sempre le varie influenze musicali, nella scrittura dei pezzi cerchiamo sempre di non legarci ad un genere preciso

D “Lungo la strada” (2013 – autoprodotto) – “Vecchio diavolo” (EP – 2014 – autoprodotto) – Cosa Adesso Siamo (2017 – New Model Label) i vostri lavori…soddisfatti ?

R Sono lavori diversi, il primo disco è stata la nostra prima esperienza in studio di registrazione, quindi più acerba ma emotivamente d’impatto. L’Ep Vecchio Diavolo l’abbiamo registrato grazie al premio vinto con il Rock contest, che ci ha dato modo di registrare tre pezzi. Il terzo lavoro, “Cosa adesso siamo”, invece è un disco disco più improntato sul cantautorato italiano, ma musicalmente più maturo, quindi possiamo dire che nel complesso siamo molto soddisfatti

D Progetti futuri? Concerti appena sarà possibile , magari in città?

R Stiamo registrando proprio in questo periodo un nuovo album al jambona con Antonio Castiello ed Aldo De Sanctis, è un disco diverso dai precedenti più diretto è più rock, lo dimostra anche la partecipazione, in uno dei pezzi, del nostro local punk hero Stefano Illari, ma non sveliamo altro. Per quanto riguarda il suonare dal vivo, ovviamente, speriamo al più presto e come prima.

D Prima hai fatto parte di altre band?

R Negli ultimi anni ho collaborato con Marco del Giudice in un progetto di canzone d’autore con Gaia Bastinon alla voce, Dario del Giudice alla batteria, il Fagio alla chitarra, e suono anche nella ROM, l’orchestra del Refugio

D Il basso è uno strumento indispensabile in una formazione rock…insieme alla batteria detta tempi e modi…molti sono stati i bassisti fondamentali alla crescita di questo strumento, da Paul McCartney a John Entwistle e così via…quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri ?

R Amo la semplicità nel basso e un modo ritmico di suonarlo, però uno dei miei preferiti è Brain Richie dei Violent Femmes.

D Nedo, tutti noi abbiamo un rimpianto che non ci fa dormire la notte…musicalmente parlando quale è il tuo ?

R Di non aver mai visto David Bowie dal vivo

GABRIELE DE PASQUALE

D Gabriele De Pasquale, chitarrista…da quando hai capito che non avresti più potuto fare a meno di questo strumento?

R Dal primo momento, è stato amore a prima vista !! Mi ricordo che alle scuole Elementari, il maestro di musica ci faceva cantare, accompagnati da lui alla tastiera, “c’era un ragazzo” di Gianni Morandi, brano che adorai da subito.

A me non bastava solo cantarla, sentivo la necessità di essere ancora più coinvolto nel brano. Volevo anche suonarmela.

I miei genitori, appassionati “strimpellatori professionisti”, rispolverarono le loro vecchie chitarre, data la mia richiesta di imparare a suonarne una. Ed è cosi che ho conosciuto la mia compagna di vita.

Quando ripenso a questa storia non so mai se ringraziare: i miei genitori per avermi insegnato i primi accordi, o andando a ritroso il maestro della scuola elementare per avermi fatto cantare ” C’era un ragazzo” , o andando ancora a ritroso, Gianni Morandi per averla scritta…

D Sei autodidatta o hai fatto studi classici ?

R Ho iniziato da autodidatta, al mondo della classica mi ci sono avvicinato in seguito e molto gradualmente.

Il mio primo maestro di chitarra fu Marco Gammanossi alle scuole medie G.Borsi al quale sono affezionato moltissimo, in seguito mi sono iscritto al Liceo Musicale dove ho conosciuto altri due personaggi che mi hanno influenzato molto: Veronica Barsotti e Nicola Campanile. Durante il periodo del liceo frequentavo anche l’ISSM P. Mascagni di Livorno nel quale ho avuto il piacere di studiare con i maestri : Nuccio d’Angelo e Giorgio Mirto.

Il mio percorso di studi classici si è concluso quest’anno con con il conseguimento del Diploma Accademico di I livello con 110 e lode

D Ti ho visto varie volte dal vivo, soprattutto nella band di Alex J. Corsi…ma anche in molte jam improvvisate…

R Le jam di Alex J. Corsi e dei Dinosauri Del Blues… impossibili da dimenticare !!

Ho sempre creduto nelle jam e secondo me sono una delle scuole migliori per un musicista.

E’ li che è nata e si è coltivata la mia passione per il Blues.

D Hai fatto parte di altre band in passato?

R Si, ho fatto parte di molte band in passato e di alcune ne faccio parte ancora oggi.

La band più longeva che ho non è una band, è un duo, chitarra e pianoforte composta da me ed Edoardo Vilella, ci siamo conosciuti in prima liceo e ci siamo piaciuti subito, passavamo i pomeriggi chiusi in casa a suonare, ed insieme abbiamo formato e realizzato moltissimi progetti come collaborazioni con attori e ballerini, musiche live per i musical, fino ad arrivare al nostro ultimo lavoro insieme che prevedeva la realizzazione delle soundtrack per il Poly HS quiz show.

Con Edoardo più che un duo siamo compagni di musica.

Mentre, una delle Band con le quali mi sono divertito di più sono sicuramente i T.A.C. Analysis, nati durante l’Effetto Venezia 2017 al palco blues “Memorial Manlio Pepe”, ci trovammo a dover riempire un buco nel programma di circa due ore con una prova organizzata il giorno stesso, in pratica fu un concerto quasi interamente improvvisato… mentre suonavamo passò la Banda dell’SVS guidata da Filippo Ceccarini, ricordo che si fermarono sotto il palco e facemmo qualche pezzo insieme, fu’ meraviglioso.

Da quel giorno decidemmo di continuare a suonare insieme, ed abbiamo continuato fino all’inizio del primo Lockdown.

D Quali sono i tuoi chitarristi di riferimento, quelli che magari cercavi di imitare fin da bambino ?

R A 12 anni, superata la fase Morandi, mi innamorai dei Queen. Tutti hanno avuto un “periodo Queen”, il mio non è ancora passato.

Sono da sempre la mia band preferita, ed adoro il suono della Red Special di Brian May.

Un’altro dei miei chitarristi preferiti in assoluto è Steve Vai.

Per quanto riguarda la classica invece i miei punti di riferimento sono sicuramente Andres Segovia e Julian Bream

D La musica è un’arte e come tutte le arti è soggetta a gusti e interpretazioni anche se penso che il blues abbia un posto particolare nel tuo cuore…

R Blues significa far fluire liberamente le tue emozioni attraverso lo strumento,

Per me non è soltanto un genere musicale ma una sensazione, un mood, che mi accompagna da tutta la vita in ogni cosa che faccio ed ogni musica che suono.

Nonostante il Blues sia stato un passaggio fondamentale della mia formazione, non mi sento di essere catalogato come chitarrista blues e basta.

Nella mia vita da musicista ho sempre ricercato, sperimentato e provato soluzioni diverse, amo suonare ed ascoltare ogni stile e genere musicale, o quantomeno mi piace provarci !! Oggi lavorare come musicista è difficile, è per questo che cerco costantemente di imparare e studiare cose nuove.

D Scuola di musica Alessandro Scarlatti…che mi dici ?

R Nel 2017 Grazie alla scuola di musica Alessandro Scarlatti ho avuto la mia prima esperienza nel mondo dell’insegnamento.

Da quel momento non ho più smesso, ho formato la mia classe privata di musica con degli allievi che mi rendono ogni giorno sempre più orgoglioso.

D Progetti futuri ? Qualche idea di concerto appena questo incubo sarà finito ?

R Per il momento è molto difficile capire quando sarà possibile esibirsi nuovamente dal vivo, comunque i progetti non mancano !

Ho in cantiere la produzione del mio primo disco da solista “incoerenza” del quale farà parte anche “Wait”, un singolo che ho già pubblicato da poco su tutte le piattaforme.

Ho deciso che porterò avanti parallelamente la mia attività da musicista classico con quella da chitarrista elettrico, difatti uno degli obbiettivi più grandi che mi sono prefissato è quello di partecipare a diversi concorsi internazionali di chitarra classica, la concorrenza è spietata, ma cercherò di fare del mio meglio.

Nel frattempo mi sto preparando per l’ammissione al Biennio Jazz del conservatorio di Bologna.

D Livorno e la musica…pensi che sia atato fatto qualcosa per far si che questa città faccia parlare di sè in questo ambito o la strada da fare è ancora lunga ?

R Livorno è una città con tantissimi musicisti ed è stata sicuramente la culla di moltissimi artisti , ma secondo me non offre le possibilità giuste a chi decide di fare dell’arte il proprio lavoro.

D Rimpianti e rimorsi, tutti noi ne abbiamo. Musicalmente parlando, qual’è il tuo più grosso rimpianto ?

R Uno dei miei rimpianti più grossi credo che sia quello di aver tralasciato l’aspetto vocale.

Da bambino amavo cantare, ma da quando ho conosciuto la chitarra, gradualmente ho cantato sempre meno e suonato sempre di più.

Ad oggi posso affermare con certezza di non essere in grado di “tallonare la chimera di una melodia composita Gremita di arzigogoli rarissimi” cit. Elio

D Chi è oggi Gabriele De Pasquale ?

R Come da anni suggerisce il mio stato di WhatsApp “sono costantemente in viaggio verso la migliore versione di me stesso”.

Per il momento sono un neolaureato con una buona dose di sogni nel cassetto ed una vita davanti per cercare di realizzarli.

PIERO LICARI

D Piero Licari chitarrista…come e quando si è manifestato il tuo amore per questo strumento ?

  • R In casa mia, sin da piccolo, la musica è sempre stata una costante anche grazie ai miei genitori, appassionati di musica anche loro, e gli strumenti musicali (tastierine, flauti, ecc..) erano in ogni angolo. Intorno agli 11 anni, nei primi anni 80, ho avuto la folgorazione per la chitarra grazie al maestro di musica della scuola media che frequentavo, il quale portava in classe una chitarra e per me fu amore a prima vista. Tornai a casa e chiesi a mio padre di comprarmene una, gli feci spendere 50000 lire (che all’epoca erano bei soldoni e noi non navigavamo certo nell’oro) per una chitarra classica marca “Hondo” che ho ancora e tengo come cimelio e ricordo. Da lì in avanti per me la chitarra è diventata una ragione di vita; mio Zio, Enzo Licari (che fa parte della nostra band come tastierista), strimpellava qualche accordo e me lo ha insegnato ed ho cominciato a suonarla ogni giorno dopo la scuola, sui dischi o le cassette dei miei idoli dell’epoca tra i quali, i miei preferiti erano proprio i Dire Straits. Sono un completo autodidatta, la passione è rimasta fino ad oggi e credo che mi accompagnerà per sempre.

D Attualmente fai parte del gruppo Main Street, una tribute band dei Dire Straits, come nasce questo progetto ?

R Insieme a mio fratello Dario (Batterista) siamo cresciuti suonando insieme, ed avendo entrambi la passione per i Dire Straits. Intorno al1987/88, mettemmo su una band; all’inizio suonavamo un po’ di tutto, ma dove si presentava la pelle d’oca e si riusciva meglio erano proprio le cover dei Dire Straits, sicché nel 1992 decidemmo di dedicarci esclusivamente al “tributo” alla Band Britannica. Nacquero i Main Street e da allora, cambiando vari musicisti, siamo arrivati ad oggi dopo aver suonato in giro per tutta Italia. La nostra è una delle prime tribute band ai Dire Straits, nata in Italia.

D 28 giugno 1981, una data per me da ricordare…allo Stadio dei Marmi di Carrara, sotto un diluvio incredibile, assistetti al mio primo concerto dei Dire Straits…posso capire la tua devozione…

R Di quel concerto, essendo io all’epoca troppo piccolo, ne ho solo sentito parlare e ti invidio per aver avuto l’occasione di viverlo. Io ascoltai una musicassetta dei Dire Straits nel giugno del 1982, l’album era Making Movies, grazie ad un caro amico che aveva un fratello di qualche anno più grande di noi che ci “spacciava” musica nuova (simple minds, U2, Police ecc..). Tunnel Of Love divenne, nel assolo di chitarra finale, il motivo per cui Mark Knopfler diventò per me il chitarrista da imitare e da lì in avanti ne studiai la tecnica con quello che si trovava all’epoca sulle riviste e mandando mille volte avanti e indietro i nastri fino a consumarli. Beati i ragazzi di oggi che con l’avvento della rete trovano tutorial e materiale in abbondanza per imparare a suonare un po’ di tutto. L’unico concerto dei Dire Straits al quale ho potuto assistere è stato quello allo stadio del Baseball di Firenze il 14/09/92, durante il tour mondiale On Every Street, ed ho ancora bellissimi ricordi di quella notte nella quale probabilmente nacque l’idea definitiva di mettere su il tributo a questa fantastica band. Mi sono rifatto comunque in seguito con i concerti di Mark Knopfler da solista andando persino alla mitica Royal Albert Hall a Londra per due concerti nel 2001 e uno nel 2013.

D Prima dei Main Street hai fatto parte di altri gruppi?

R Avevo 14 anni e Il primo gruppo di cui ho fatto parte era composto da 3 ragazzi più grandi di me di qualche anno. Il loro chitarrista era partito per il militare e tramite conoscenze in comune mi hanno ingaggiato e lì ho avuto la possibilità di suonare la musica del momento (U2, Police, e naturalmente, tra i vari brani, suonavamo anche Sultans of Swing) ricordo ancora le emozioni delle prove nella cantina del batterista di allora, con gli amplificatori a tutto volume, i colpi di grancassa e di basso che ti arrivavano dritti allo stomaco e la mia chitarra amplificata che cominciava a farmi alzare la pelle sulle braccia. Questo gruppo duro il tempo di un’estate ma fu ciò che mi fece venire la voglia di mettere su una band tutta mia, cosa che avvenne qualche anno più tardi e che poi sarebbe diventata i Main Street.

D Oltre a Mark Knopfler, quali altri chitarristi hanno acceso la tua fantasia?

R Sicuramente tra i miei preferiti Eric Clapton, Stevie Ray Vaughan, David Gilmour, Ritchie Sambora (per il mio periodo Glam anni 80) e Slash. Amo i chitarristi che suonano col cuore più che con la tecnica.

D Progetti futuri, qualche concerto appena possibile ?

R Quando potrà riprendere la musica live, certamente riprenderemo la nostra attività dal vivo. Al momento è tutto fermo ma, a pandemia passata (speriamo presto) gli eventi che faremo saranno postati sul nostro sito www.mainstreet-direstraits.com e sulla nostra pagina Facebook.

D Livorno e la musica…una città che ha vissuto di musica riesce difficilmente ad “uscire dal suo guscio”…tutta colpa del nostro carattere o c’è altro?

R Certamente, almeno per la mia esperienza, Livorno è sempre stata una piazza molto ostica e nella quale il genere da noi suonato non ha mai attecchito più di tanto, tant’è che i nostri concerti nella città di Livorno si contano sulle dita di una mano in quasi 30 anni di attività. Peccato perché ci piacerebbe poter essere presenti anche nella nostra bellissima città. Ma si sa, come dice il vecchio adagio, nessuno è profeta in patria.

D Oggi i giovani preferiscono un certo genere di musica, che forse sbagliando, non la annovero neanche alla casella musica…ai vostri concerti partecipano i giovani livornesi, conoscono la band britannica ?

R Devo dire invece che ai nostri concerti ci sono anche molti giovani livornesi che ci seguono dove possibile e che amano i Dire Straits. Tra l’altro vedo molti chitarristi giovani sul web che suonano la chitarra rifacendosi a Mark Knopfler e questo vuol dire che la buona musica non passa mai di moda.

D Piero, ognuno di noi ha un rimpianto per non essere salito su quel treno che aspettava solo noi…musicalmente parlando dove andava quel tuo treno ?

R Sicuramente anche io faccio parte di quella gran fetta di umanità che ha almeno un rimpianto; Non voglio trovare scuse ma ai miei 15/16 anni, momento in cui doveva scattare la decisione di intraprendere la vita da musicista, non c’erano molti mezzi per sapere a quale porta bussare, specialmente in una piccola realtà come la Toscana ma direi l’Italia in generale. Non esistevano vetrine come Facebook o Youtube sulle quali potersi mettere in “mostra” e sperare di essere visti. C’erano ancora i locali fumosi nei quali andavi a suonare sperando che nel backstage a fine concerto si facesse avanti un tizio che ti diceva:…Hey ragazzi siete bravi vi vorrei far fare….). Comunque le soddisfazioni, nel nostro piccolo, ce le siamo tolte. Suonare davanti ad un pubblico che fa la fila davanti al botteghino 2 ore prima del tuo concerto (sebbene non siamo “nessuno”) e che durante la serata ti incita come se tu fossi davvero Mark Knopfler ti fa capire che tutti gli sforzi fatti fino ad oggi e credimi sono tanti, da qualche parte hanno portato. L’emozione che si prova nel suonare dal vivo la musica che hai ascoltato sin da piccolo, dell’artista che hai tentato di imitare così tante volte davanti alla TV, solo questo si può considerare, per me, un successo.

D Chi è oggi Piero Licari?

ROggi Piero Licari è un “ragazzo” sulla cinquantina che ha ancora le sue chitarre tra le mani con la stessa passione e curiosità per la musica di quando aveva 15 anni. Mi dedico allo studio della chitarra, spaziando per i generi da me preferiti (Rock, Blues e country) e della musica in generale, alla registrazione e arrangiamenti dei brani nel mio Home studio, insomma un inguaribile amante della musica.

DIEGO PERSI PAOLI

D Diego Persi Paoli bassista…innamorato dello strumento o chitarrista pentito ?

R Il basso elettrico è uno strumento che mi ha affascinato fin da subito quando quindicenne lo sentì suonare da Damiano Dattoli bassista eclettico, molto in voga nel panorama musicale milanese dell’epoca siamo a metà degli anni 70.

D Il basso, in sintonia con la batteria in un gruppo è quello che detta il ritmo, ricama, ricuce…solitamente si piazza dietro il chitarrista ed eventuale cantante, ma impensabile un gruppo rock senza questo strumento…

R La “ritmica” (basso batteria) come viene definita dagli addetti ai lavori è qualcosa di imprescindibile nella costruzione dell’arrangiamento di un brano e in tutti i generi musicali così come nel Rock e il Pop dove la scansione del tempo deve essere solida e chiara per permettere alla voce in primis ma anche alla chitarra nelle parti solistiche di avere un riferimento ben solido come una sorta di faro nella nebbia…per me basso e batteria sono come le fondamenta di una casa, se non partiamo dal “basso” è difficile arrivare al tetto.

D Attualmente fai parte del gruppo Basaglia’s Concept Quartet, ottimo gruppo con un nome che solo a Livorno poteva essere pensato…come sei entrato a farne parte?

R Con Giorgio Taurasi caro amico, bravo chitarrista e arrangiatore ci conosciamo da più’ di vent’anni infatti verso la metà degli anni 90 collaborammo in varie formazioni dell’epoca. Dopo esserci persi di vista per diversi anni…mi viene in mente il titolo di un bellissimo film dei fratelli Coen “Non è un paese per vecchi” titolo che cambierei con “Non è un paese per musicisti” l’ Italia, per dire che la vita ti porta a fare scelte diverse, ma questa è un’altra storia… fortunatamente a distanza di tempo abbiamo ripreso il nostro cammino che ci porta a confrontarci su idee musicali e non solo perché se il collante è ovviamente la musica, i valori di condivisione di alcuni aspetti della vita sono altrettanto importanti in special modo oggi. Nascono quindi i Basaglia’s Concept dove l’idea è quella di non essere mai scontati senza dover però essere troppo “dotti musicalmente” o forse sarebbe meglio dire complicati, penso che non bisogna mai dimenticare che il nostro pensiero musicale deve arrivare a chi ascolta destando curiosità e piacere. Da qui ai Basaglia’s Concept Quartet il passo è breve e così entrano a far parte della band due bravi musicisti Mirco Pierini alla tromba e Sergio Consani alla batteria che contribuiscono con il loro talento e “sana pazzia” a completare la formazione.

D Ovviamente non è stato il tuo primo gruppo…

R Ehh no le formazione che si sono susseguite nel corso degli anni sono tante, ricordo gli inizi, avevo 16 anni con mio fratello Claudio bravissimo pianista classico e pop suonare nei night club della Versilia gran palestra fu quella, ho avuto nel tempo la fortuna di spaziare in diversi generi musicali che sicuramente mi hanno permesso di crescere ed essere più duttile musicalmente suonando in formazioni di Fusion, Acid Jazz, Funk, Pop, Rock, Jazz, Country e Surf Music.

D Sound particolare il vostro…fusion, new wave, puntatine di jazz..

R Si, come dicevo prima le influenze musicali nel corso degli anni sono state diverse e tutte interessanti, agli inizi mi piaceva la fusion un genere che con il tempo e andato quasi a scomparire ma per me sempre di grande ispirazione, band come Yellowjackets, Spyro Gyra, Uzeb etc. solo per nominarne alcune, da li l’interesse per il Jazz e poi il ritorno verso generi più “commerciali” ma per niente scontati e semplici da suonare come il rock e il pop, credo e spero che questo mix di generi si riconosca nel sound di Basaglia.

D Ci sono stati bassisti che hanno fatto la storia del rock…Sir Paul McCartney, Peter Entlewsiste e molti altri…quali i tuoi mostri sacri, le tue icone ?

R Quanti bravi Musicisti ci sono stati e ci sono tutt’ora anche se tanti purtroppo ci hanno lasciato chi prematuramente e chi in questi ultimi anni. Propio in questi giorni si è spento Chick Corea. Quando ho iniziato a suonare stava tramontando una stella che anche se non è più tra noi da tanti anni, brilla tutt’ora nel cielo, parlo di Jaco Pastorius chiamarlo bassista è riduttivo, musicista a 360 gradi compositore di brani bellissimi Jaco con il suo talento ha rivoluzionato il modo di suonare il basso elettrico. Un’altro grande bassista e Nathan East con una discografia da paura, trovi la sua firma su migliaia e dico migliaia di produzioni di generi diversi tutte di alto livello. Se guardiamo in casa nostra ci sono due nomi da cui non posso prescindere, Massimo Moricone anche lui non scherza per quanto riguarda le produzioni di livello nazionale e internazionale e infine Dario Deidda musicista apprezzato a livello internazionale con molteplici collaborazioni in formazioni europee.

D Ricordo una tua presenza al Surfer Joe…purtroppo questo virus impedisce di esibirsi e ascoltare musica dal vivo…per quanto vi riguarda, appena possibile, ci sono progetti, magari concerti in città ?

R Mi hai fatto ricordare la piacevole collaborazione con Surfer Joe nella persona di Lorenzo con cui ho condiviso ben 4 anni di musica surf in giro per l’Europa, grazie! Per quanto riguarda i concerti stiamo vivendo un periodo buio dove ancora una volta viene messa ahimè’ in risalto la precarietà del mondo artistico in generale, non farmi dire altro. Per quanto riguarda i progetti, Basaglia continua a scrivere musica fa parte del nostro DNA , siamo sempre pronti per i live quando verrà il momento…speriamo…presto.

D Livorno e la musica…Livorno città dai mille gruppi che non hanno mai brullato veramente…qual’è il tuo rapporto con la città musicale ?

R Un rapporto ai minimi termini, nel senso che ho spesso lavorato fuori dalla provincia poco a Livorno.

D Tutti noi abbiamo un rimpianto che ogni tanto ci fa intristire…musicalmente parlando, qual’è il tuo ?

R Non mi piace guardare indietro, avrei potuto forse emigrare in paesi dove la musica non è considerata solo un hobby.

D Chi è oggi Diego Persi Paoli ?

R Uno spettatore attonito di un mondo che sta cambiando più in fretta di quanto si possa immaginare, nel bene nel male? Questo non lo posso sapere anche se le premesse non sono delle migliori (ai posteri l’ardua sentenza diceva il Manzoni)… Oggi come ieri mi sento come un sognatore irriducibile sempre alla ricerca di uno spunto, una frase musicale, un suono che possa catturarmi, un particolare quasi inafferrabile che lasci in me quella sana insoddisfazione stimolo a continuare questo viaggio nella musica con la musica senza dimenticare un pizzico di buona sana pazzia.

GIORGIO TAURASI

D Giorgio Taurasi chitarrista…immagino un amore per la sei corde nato fin da bambino…

R In realtà non è andata proprio così, la vera irrefrenabile passione è iniziata durante il periodo dell’adolescenza. Prima di quel momento fui avviato allo studio della musica ma, essendo per natura un po’ ribelle, non volli dare continuità a ciò che mi veniva proposto dai genitori, inoltre per il contesto socio-culturale al quale appartenevo lo studente di musica poteva essere oggetto di sgradevoli attenzioni, bullismo incluso.

D Attualmente fai parte del gruppo Basaglia’s Concept Quartet, ottimo gruppo, ottimi musicisti, poi il nome è tutto un programma…come nasce questo “complesso” ?

R Nasce… dall’autoanalisi! Ovviamente scherzo ma fino ad un certo punto, mi spiego: con l’amico e bassista Diego Persi Paoli scriviamo e proviamo i nostri repertori con un approccio che mobilita la nostra massima capacità di concentrazione fino a quando, oltrepassato questo limite, ci troviamo in una dimensione in cui si sperimenta una sorta di inerzia nel proprio modo di suonare, a quel punto si operano i necessari aggiustamenti attraverso l’ascolto reciproco, si fissano nero su bianco le idee più felici, apriamo la prova al quartetto (gli amici e ottimi professionisti Mirco Pierini tromba/flicorno e Sergio Consani Batteria) e il processo riparte senza mai chiudersi definitivamente, la spirale potrebbe essere il nostro logo. Durante questa attività accade che ci facciamo delle grandi risate, ci prendiamo in giro senza pietà e continuiamo a farlo anche durante la cena che dopo condividiamo. Insomma, il lavoro consiste nell’entrare ed uscire da dimensioni molto diverse tra loro e questa dinamica ha il segno della follia, questo rito creativo ha qualcosa di sciamanico e, ripeto, divertente! Ovviamente, dato che le cose non vengono sempre come vorremmo, attraversiamo anche forti momenti di frustrazione, fatica e talvolta ci domandiamo perché lo facciamo con la mente al nostro conto corrente . Lì abbiamo la conferma che qualcosa in noi non funziona davvero ma poi ce ne freghiamo… Da pazzi no?

D Difficile etichettare (che non è mai bello) il vostro sound..chitarra, basso, batteria, tromba e flicorno…fusion può andare bene ?

R “Nu Fusion” forse calza meglio ma non ne siamo sicuri nemmeno noi. Certamente siamo attratti dalle mescolanze timbriche offerte dalla natura dei nostri strumenti, le relative combinazioni e integrando il tutto con quanto l’attuale tecnologia analogica ci mette a disposizione. Non siamo più dei ragazzi e il digitale è per noi un mezzo per guidare l’analogico, non il fine. E poi ci piace giocare un po’ con i generi musicali, ricombinarli tra loro, spesso ironizzare su certi stilemi. Questo modo di procedere però non frammenta mai il nostro sound, ciascuno di noi ha infatti una specie di campanello di allarme al riguardo e poi ve lo immaginate se Mirco si azzardasse a fare un solo in stile messicano? Lo bullizzeremmo ferocemente per il resto della serata! Anzi degli anni a venire!

D Prima dei Basaglia’s hai fatto parte di altre band ?

R Sì molte, dal duo alla Big Band e devo dire che questa è stata una palestra molto bella ma oggi credo che il quartetto sia la migliore formazione; ha il pregio di essere snello e, osservando certi accorgimenti, permette di non rinunciare alla dimensione orchestrale. Vorrei aggiungere una cosa, chi fa questo lavoro spesso si trova a collaborare con colleghi che a volte vede solo per l’occasione del concerto e ovviamente di un paio di prove prima di quest’ultimo; in un certo senso è il repertorio che stabilisce l’ensemble, il repertorio lo “si studia a casa e da piccoli”, così si dice, il resto è un assestamento del gruppo cui segue la performance e poi ti saluti, non è il massimo sinceramente. In altri casi accade che il numero di prove e dei componenti dell’ensemble sia stabilito dal compenso che la committenza mette a disposizione e la cosa acquista un sapore ancora più amaro. Lo dico perché alla fine di tanti gruppi in cui hai militato, quelli veri, quelli in cui hai sviluppato il tuo percorso con soddisfazione professionale, continuità, amicizia, rispetto e crescita reale in un arco di tempo significativo sono pochi, pochi ma buoni.

D Quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri, i chitarristi che imitavi davanti allo specchio?

R Davanti allo specchio non credo di aver mai imitato nessuno salvo qualche espressione buffa di Totò che adoravo, ma chiuso in camera mia quando ero ragazzo e nel mio studio poi, ho amato e amo ancora Frank Zappa e Pat Metheny. Loro sono come due rette parallele, non si incontrano mai date le loro notevoli differenze ma per me sono come due binari; due binari che mi permettono ancora oggi di viaggiare senza deragliare. Probabilmente la mia latente bipolarità è data anche da questa strana sintesi stilistica che io stesso fatico a comprendere

D Questa pandemia ha “troncato le gambe” a tutta l’arte in genere, ancora di più alla musica che senza il contatto con il pubblico perde molta della sua essenza, del suo dare e ricevere emozioni…sapremo riprenderci e tornare a suonare e ascoltare concerti ?

R Me lo auguro con tutto il cuore, mi auguro che l’ascoltatore ritrovi la sua identità e non si senta appagato dal surrogato del concerto proposto dal mondo digitale. Mi auguro anche che, di conseguenza, il musicista non atrofizzi il suo profilo artistico diventando una specie di programmatore di App con cui regalare (anzi vendere), l’illusione di poter della musica in solitudine, ognuno da sé.

D Progetti futuri ?

R Curarmi di questo gruppo, osservarne lo sviluppo, mantenerne l’equilibrio, raccogliere i dati salienti e alimentarne lo spirito. Fare questo, per chi è un po’ folle, rappresenta un orizzonte… Anzi una cura. Se poi questo porterà a qualche risultato di più ampio respiro progettuale (leggi soddisfazione economica o mediatica) meglio ancora, accoglieremo tale risultato come un positivo riflesso del nostro essere musicisti.

D Livorno e la musica, Livorno città della musica…centinaia e centinaia di band sono nate nella nostra città, moltissimi ottimi musicisti intercalano con il dè…eppure…cosa manca per fare il salto di qualità ?

R Manca l’attenzione di coloro che, in qualità di organizzatori di eventi, dovrebbero saper cogliere i segni più genuini del patrimonio culturale cittadino. E’ un dato che essi siano oggi del tutto privi di quel tratto intellettuale proprio di coloro che, secondo le categorie spinoziane si potrebbero definire come conoscenze di terzo genere e cioè quelle che si nutrono delle intuizioni, della penetrazione immediata nell’essenza delle cose. Ora, se il musicista ha il dovere di interagire con la materia della sua arte, plasmarla, rendere significativo il proprio linguaggio, porre un interrogativo al suo ascoltatore, condurlo in un altra dimensione e insieme a lui ricordare che le cose possono essere osservate da infiniti punti di vista allora chi organizza l’evento ha il dovere di creare le condizioni che facilitino questo processo artistico e lo veicolino positivamente orientando così i gusti del pubblico verso l’operato del musicista. Ha inoltre, una volta registrato il feedback dei suoi diversi interlocutori, il dovere morale di documentare il proprio operato rendendolo disponibile a colui che ne raccoglierà l’eredità ma questo a mio avviso non accade e spesso il musicista deve sostituirsi all’organizzatore senza averne però le competenze. Ecco dunque uno dei problemi che tutti abbiamo sotto gli occhi: un ingranaggio che gira vuoto spinto anche da sentimenti non sempre proprio nobili che alla lunga sfibrano e logorano le persone, gli ensemble. La classica guerra tra poveri, tra ruffiani, è quanto di peggio serva alla nostra città alla nostra musica.

D Tutti noi abbiamo il rimpianto di non essere saliti su quel treno che ci stava addirittura aspettando, musicalmente parlando, dove andava quel tuo treno ?

R Non ho mai pensato in termini di treni come occasioni mancate perché alla stazione di treni e quindi di occasioni ce ne sono molte. L’importante è avere in una mano un biglietto per salire e nell’altra, se ne senti il bisogno, il denaro per scendere alla prima stazione e acquistarne un altro e proseguire verso la destinazione che scegli, ecco tutto. Non ho rimpianti, sono un curioso spettatore della mia vita, anzi, ne sono un ascoltatore attivo.

D Chi è oggi Giorgio Taurasi ?

R Un folle sotto mentite spoglie, una persona a suo modo fortunata.

SIMONE DI MAGGIO

D Simone Di Maggio, tastierista, anche se

un pò riduttivo…

R Poteva sembrare, ma non è così. Ho

cominciato con le corde, poi PC ed annessi

controller MIDI… Se ti riferisci alla tastiera del

computer, quella tanta anche ora.

D A memoria mi sembra di ricordare che il

tuo primo gruppo fossero gli Almayer…

R Che memoria! E’ stata la mia prima band

importante alla quale lego un periodo

fantastico della mia vita: le prime registrazioni

e la compilation 15 Italian Dishes – la curai io

dando vita a Raving records, insieme ad

Alessandro Baris dei Comfort. Il picco degli

Almayer fu il tour con i The Lapse di Chris

Leo: una settimana incredibile e l’inizio di

un’amicizia.

D Poi nel 2003 il gran salto negli Appaloosa,

band storica livornese…raccontaci

R La loro sala prove era accanto alla nostra e ci

conoscevamo – a fine anni ’90 davanti al

mercato centrale, sottoterra, c’erano i fondi

delle migliori band del periodo. Io ero in fissa

per la musica elettronica già da un po’ e avevo

comprato il mio primo mac portatile,

cominciando a fare le mie prime cose: i

ragazzi mi chiesero di fare qualche pezzo con

loro e accettai. Cominciai a fare qualche

concerto (la quinta o sesta data fu sul palco

grande di Arezzo Wave prima dei Cypress

Hill !) e cercai di partecipare sempre di più alla

realizzazione dei brani, finché non entrai a far

parte del gruppo in pianta stabile. Potrei dire

che l’ufficialità arrivo con la pubblicazione di

“Non posso stare senza di te” (Urtovox, 2005).

D Nel 2005 intraprendeste anche un piccolo

tour in Spagna, nei Paesi Baschi…una bella

soddisfazione…luogo penso non scelto a

caso…

R Avevamo amici sia a Bilbao che a Madrid che

ci proposero di suonare lì. Fu un’esperienza

favolosa e la prima volta che abbiamo

annusato una realtà diversa da quella

nazionale. Il locale di Bilbao era un centro

culturale e praticamente non chiudeva mai,

dalla colazione alla discoteca. E mi innamorai

di Madrid.

D CD (Savana, The worst of Saturday night),

tour in Germania, Francia, Svizzera oltre

naturalmente all’Italia, Livorno compreso…bhè,

non male…

R Sì, una bella avventura. Abbiamo mangiato

tanti kilometri e incontrato centinaia di

persone, in occasioni importanti o al limite

della decenza; abbiamo condiviso trionfi e

sconfitte: ho imparato molto andando in giro

con gli Appaloosa e in certi momenti ho

provato un senso di libertà che mi fa ancora

sentire un privilegiato… Non è mai stata una

questione di fama, tantomeno di guadagno:

era magia.

D Nel 2014 lasci la band…che successe ?

R Era il momento di farlo. I ragazzi avevano

bisogno di girare sempre di più per vivere di

musica (fermarsi sarebbe stato un disastro),

ma il mio lavoro non me lo permetteva: li avrei

ostacolati. Così decisi di lasciare, ma volevo

farlo con la coscienza a posto. Prima registrai

‘The Worst of Saturday Night’, disco del quale

vado ancora fiero e che rappresenta un

cambio radicale per gli Appaloosa. Poi feci una

ventina di concerti di promozione al disco e

infine passai la palla a Dyami, consegnando le

mie parti musicali e pure il mio controller. I

ragazzi si incazzarono un bel po’ all’inizio, ma

poi capirono e sono riusciti a raggiungere altri

traguardi. Per me furono due anni di stress

psicologico pesantissimo che mi son sempre

tenuto per me, ma credo di aver fatto la scelta

migliore per tutti e ci vogliamo anche più bene

di prima: gli Appaloosa sono una famiglia.

D Una carriera solista fino al recente

dimaggiobaseballteam …tutto ok ?

R In realtà dimaggiobaseballteam nasce nel

2003 come progetto solista di musica

elettronica e songwriting, ma nel tempo è

diventata la “firma” di tutta la mia produzione

creativa, a prescindere dal formato utilizzato

(audio, video, scritto, disegnato e quant’ altro

capiti). Di certo non sono stato costante: gli

Appaloosa, la vita da insegnante precario –

finita, per fortuna – e quella privata bastavano

e avanzavano a riempire le giornate. Però, in

proporzione, ho avuto le mie soddisfazioni

dilatate in quasi 20 anni e sicuramente è la

versione che meglio mi racconta.

D Recentemente ti sei esibito per streaming

al Goldoni, passata la tempesta Covid quale

progetto, altri concerti, altre esperienze in

gruppo ?

R Diciamo che il Covid è stato l’input per capire

quanto sia doveroso curare il proprio lato

espressivo, un’ancora di salvezza

irrinunciabile oramai. Così ho deciso che è

arrivato il momento di uscire allo scoperto e

pubblicare il mio materiale prima di diventare

la leggenda di me stesso. l’8 Dicembre 2020

ho pubblicato “from 0 to 2”, un EP di tre brani

strumentali che documentano e fissano questi

anni passati a stretto contatto con i mie due

figli: ci saranno almeno altre 2 uscite su

questa linea nei mesi prossimi.

Sto anche lavorando da un po’ a un disco di

canzoni a cui tengo molto: al Goldoni ho

suonato ‘Hunger’, ma c’è una versione electro

pubblicata sulla Compilation WeLoveLivorno

2020: risale al 2015 ed è stata prodotta

insieme a Simone Lalli (Autobam).

Infine sto collaborando con l’associazione

8mm1/2 che restaura e digitalizza pellicole –

siamo coinquilini in un coworking che si

chiama Spazio, un’oasi creativa in città.

Per ora mi fermo qui.

D Simone quali sono i tuoi mostri sacri, i

musicisti che adoravi fin da bambino ?

R Se si parla di venerazione, indubbiamente i

Fugazi: la loro energia non ha pari, così come

il loro essere autentici, umili e profondamente

umani. Conservo ancora gelosamente una

cartolina di risposta scritta a macchina da Ian

MacKaye in persona – l’ho anche intervistato 2

volte per GruMuLi, la fanzine che facevo a

Livorno per documentare la scena cittadina di

fine ’90.

Per il resto, ci provo: The Smiths, Pavement,

June of 44, Brian Eno, Robert Wyatt, Boards

of Canada, Bob Dylan, Teebs, Dj Shadow,

Arcade Fire… Ho passato più ore dentro a

Wide Records che a lezione a Pisa.

D Tutti noi ci “mangiamo ancora le mani” per

non essere saliti su quel treno che aspettava

solo noi…invece…dove andava il tuo ?

R Bologna o Siena, per studiare Scienze della

Comunicazione, cominciare una vita da

studente fuori sede e poi andare all’estero. Un’

altra coincidenza persa andava a Londra con

gli Appaloosa e un’altra ancora in uno studio di

registrazione qualsiasi a fare un disco con

Almayer – credo ancora che ce lo saremmo

meritato.

Faccio del mio meglio per non avere

rimpianti… e come diceva il mio prof di

filosofia, “con i SE e con i MA non si fa la

storia”.

D Chi è oggi Simone Di Maggio ?

R Un insegnante di Inglese e un genitore felice

che, specialmente di questi tempi, crede sia

doveroso perdersi nei sogni per opporsi alla

pesantezza della realtà ed espandere la

propria prospettiva. Di questo si occupa il

coach di dimaggiobaseballteam, tenendo a

freno la schizofrenia.