THE ROLLING STONES Hackney Diamonds

La domanda che alcuni amici mi hanno fatto all’uscita del nuovo album dei Rolling Stones è stata : “Ma c’era bisogno di un nuovo loro album?”

Per assurdo facciamo finta che Caravaggio, Botticelli, Modigliami, oppure Beethoven, Mozart, Bach siano sempre vivi e ultracentenari…forse non vorremmo che facessero nuova musica o un nuovo dipinto? Certo che si !

Un uomo ha qualcosa da dire sempre, sia a 20, sia a 40, sia a 80 anni e oltre.

Tornando alla realtà,vediamo artisti come Willy Nelson, Eric Burdon, Bob Dylan, Roger McGuinn e molti altri che a oltre 80 anni sfornano dischi sempre all’altezza della loro fama.

Hackney Diamonds è un gran disco.

Il primo senza Charlie, dove i Rolling fanno semplicemente i Rolling e tanto basta.

Ospiti/amici importanti come Paul McCartney, Elton John, Bill Wyman, Steve Wonder per finire a Lady Gaga accompagnano le pietre in questo viaggio.

In due brani c’è anche la sorpresa graditissima di Charlie alla batteria, per il resto sostituito dal treno Steve Jordan, un autentico martello.

Dopo 18 anni dal loro ultimo lavoro “vero” ci regalano una manciata di ottime canzoni con alcune che avrebbero potuto ben figurare nei loro album cosiddetti migliori.

Ballate stupende, vedi Depending On You o Driving Me Too Hard o ancora Tell Me Straight oppure pura violenza stradaiola in Bite My Head Off o il coltello affilato di Live By The Sword .

Un discorso a parte merita Sweet Sound of Heaven , la perla, la canzone che illumina la notte, il pezzo che andrà a fare compagnia nei testi universitari a venire per entrare nella leggenda.

Sette minuti di rock, gospel, soul, ma anche sudore, lacrime, polvere, speranza.

Lady Gaga duetta con Mick da grande artista che è, la sua voce si integra alla perfezione con quella di Mick ma lasciatemi fare una considerazione un po’…blasfema.

Chiudete gli occhi e immaginate per un momento che a duettare con Mick ci sia Lisa Fischer, con la sua calda, avvolgente, ammagliante voce…la canzone andrebbe direttamente in paradiso, come dice il titolo.

Rolling Stone Blues chiude il cerchio.

Un blues, dove Mick e Keith si ritrovano da soli come 65 anni fa in un vecchio scantinato, con solo chitarra, armonica e voce a suonare quei vecchi blues che tanto adoravano.

Con un blues tutto ha avuto inizio e chissà, forse con un blues tutto finisce.

Nel frattempo sono sicuro hanno anche voluto dire :” We are us and you aren’t a dick !”

BRUCE SPRINGSTEEN _ Letter to you

Molti inizierebbero questa riflessione sul nuovo lavoro di Bruce Springsteen “Letter to you” con un bel “Springsteen ha fatto il disco che non ti aspetti”…io invece me lo aspettavo eccome.Aspettavo il ruggito del vecchio leone che sconquassa la foresta, il graffio con l’artiglio, la zampata potente. “Letter to you” è un signor disco. Certo i “duri e puri”, quelli che si sono fermati a Darkness e The River non saranno d’accordo ma invece il Boss è riuscito ad avvicinarsi moltissimo ai già citati lavori…direi distante solo una incollatura .Certo non è più il ragazzo “nato per correre”, neanche quello che “va al fiume”, oggi è un padre che si commuove per la cerimonia di investitura del figlio nel New York Fire Departemnt (non un dirigente da Rockefeller Center..), è l’uomo che si accorge dell’inesorabile passare del tempo, che prende atto che lui è l’unico superstite di quella che fu la sua prima band da ragazzo, i Castiles, che si guarda allo specchio e vede che i suoi capelli sono sempre meno e colorati di fili d’argento.Ancora una volta chiama intorno a sé i suoi amici di sempre , non scordando mai, neppure per un istante chi non è più con loro, la E Street Band e…la magia continua.Il suono è quello di sempre, potente, con Roy Bittan, il Professore, sugli scudi, ma è tutto il gruppo che lascia ancora una volta il segno.Bruce non inventa nulla perchè non c’è niente da inventare…questi amici miei, volenti o nolenti è il rock; quel rock che deve mettere insieme le semplici note di sempre, con testi all’altezza, che da emozioni, in barba a chi cerca assolutamente il nuovo, il di più, finendo per essere non più un musicista ma un fine elettricista.Un solo rammarico, il sapere che il tour di supporto al disco avrebbe avuto il suo concerto di apertura a Milano, dove questo nonnetto sicuramente ci avrebbe sfinito, stancato, fatto sudare con le sue solite 3 ore e mezzo di concerto…e lui lì, sul palco…Ce ne fossero vecchietti così.

MUSICOTERAPIA

Sin dagli albori della storia dell’uomo ogni popolo ha organizzato, in ogni tempo e in ogni luogo, manifestazioni musicali riconoscendo alla musica il potere di influire sulle emozioni. Per gli antichi Egizi, già nel 1500 A.C. il fascino della musica aveva una notevole influenza nella fertilità della donna. Anche la Bibbia riporta una testimonianza a favore dell’uso terapeutico della musica (Samuele 1,16-23). I Greci la usavano per curare malattie fisiche e mentali. Moltissimi dei nostri comportamenti quotidiani sono figli dell’effetto terapeutico della musica: il più comune è quello di rilassarsi dalle fatiche e dallo stress della giornata ascoltando un buon disco. Pensiamo ad ogni mamma affettuosa che, per calmare il pianto del suo bimbo, intona una dolce “ninna nanna”o ai suoni che contribuiscono a “svegliare” pazienti in stato di coma. E ancora guardiamo tutti quei momenti dove la musica rievoca situazioni vissute, ricordi e ci offre momenti di pace, nostalgia, ansia, terrore. Oggi la musica è considerata a tutti gli effetti una medicina e usata a scopo terapeutico sotto il nome di musicoterapia. Naturalmente sarebbe ingenuo pensare che un raffreddore possa essere curato con una canzone di Bob Dylan o un mal di pancia con un pezzo di Bruce Springsteen, ma non sarebbe affatto strano parlare di sintomi di origine nervosa trattati con terapie musicali. Infatti le applicazioni della musicoterapia sono e rimangono prevalentemente in campo psicologico e sociale, agendo in profondità, interessando il nevrotico fino a risolvere il suo male in una sorte di sublimazione. Non di rado negli Stati Uniti l’uso della musica è richiesto come anestetico in piccoli interventi chirurgici in cui il paziente viene distolto da sensazioni dolorose con l’ascolto di musica adatta ai suoi gusti. Chiaro è quindi che la musicoterapia può essere applicata solo in applicazioni specializzate e sia ha notizia certa di risultati ottenuti contro le balbuzie, l’Alzheimer, il gioco d’azzardo, l’afasia, nonché come sostegno durante il parto e aiuto negli anziani soprattutto se vivono l’ultima parte della loro vita da soli o in un istituto. Quindi, come ho sempre sostenuto, la musica non è solo “canzonette”, ma qualcosa molto di più.

MORTI DUE OPERAI SUL LAVORO 27/03/2018

Esplosione in porto a Livorno, morti due operai.
Non possibile, non è possibile, non è possibile MORIRE SUL LAVORO, non è giusto, non è giusto, non è giusto MORIRE SUL LAVORO, non è umano, non è umano, non è umano MORIRE SUL LAVORO. La tragedia che ha colpito oggi la mia città mi ha profondamente scosso. Non conoscevo Lorenzo e Nunzio di persona ma li conoscevo ugualmente : loro respiravano la stessa aria che respiro io, tifavano per la stessa squadra per la quale tifo io, facevano il bagno nello stesso mare…magari li ho incontrati senza saperlo decine di volte: per questo li conoscevo. Sarà perchè ho un figlio della stessa età di Lorenzo e Nunzio era poco più giovane di me, ma provo una incredibile rabbia. Si rabbia…Fatalità certo, coincidenze certo. destino certo ma io non credo alle fatalità, alle coincidenze, al destino. Sono tutti una somma di scelte reali, una catena di “se”. Non so se uno avrà abbracciato sua madre prima di uscire o avrà rivolto uno sguardo a suo padre…non so se l’altro avrà baciato sua moglie o strinto forte sua figlia/o, so solo che non torneranno stasera. Il lavoro è dignità prima di tutto e deve essere svolto in sicurezza. Non facevano i mercenari, i soldati di professione, facevano gli operai…lavoravano per vivere, per regalarsi un sorriso. Non so cosa sia successo, so solo che sono pieno di rabbia. Non mi sento neanche di dire niente alle famiglie…nessun abbraccio, nessun attestato di stima, nessuna condoglianza potrà lenire l’oceanico dolore che provano, un dolore tutto loro. Domani tutti noi torneremo alla nostra vita, alle nostre faccende…dimenticheremo. Loro non possono farlo. Due uomini che durante il loro turno di lavoro hanno perso la vita meritano rispetto, meritano partecipazione, meritano dolore e… silenzio.

IL ROCK FU UN FATTO RIVOLUZIONARIO O NO ?

L’avvento del rock fu un fatto rivoluzionario o no?

E’ fuori dubbio che il rock’n’roll di fine anni 50 e soprattutto quello dei sixties ha svolto un ruolo di rottura nella società mondiale, o per lo meno industralizzata.

Al di là dei luoghi comuni e banali, detti e ridetti, cerchiamo di capire dove sta la “rivoluzione” di questo fenomeno, genere di musica che può piacere o meno…ma questo è un altro discorso.

A mio giudizio il “merito” che ha avuto il rock e quindi la sua forza, più di essere “contro” è stato quello di aver creato l’adolescenza, l’”essere ragazzi”.

Fino agli anni 50, per tutta una serie di circostanze, principalmente economiche e culturali, un bambino diventava immediatamente un uomo. Non vi erano vie di mezzo.

Prendete le foto dei vostri nonni o dei vostri genitori, a 16 anni ne dimostravano minimo 40…per il modo di vestire, di atteggiarsi, ma soprattutto di essere, ed era purtroppo vero: ne avevano 16 ma avevano i problemi dei 40enni.

Difficilmente studiavano e si andavano a lavorare in età precoce, il che li rendeva adulti prima del tempo;spesso e volentieri si sposavano prestissimo e avevano figli altrettanto presto, con tutto quello che ne consegue.

Anche i rampolli di famiglie benestanti subivano lo stesso processo, erano uomini senza mai essere stati ragazzi.

Musicalmente parlando, crescevano con la musica dei nonni e dei genitori che facevano propria, non avevano una loro musica.

Improvvisamente, prima negli Stati Uniti, poi piano piano in Eurpoa (pianissimo…a passo di lumaca stanca in Italia), il boom economico ha cambiato le carte in tavola.

Lentissimamente ma inesorabilmente le scuole cominciarono ad affollarsi e un certo benessere si stava diffondendo.

Poi come una folgore il rock’n’roll !

La fine degli anni 50 e i 60 sono gli anni della svolta, gli anni in cui i giovani si appropriano della propria giovinezza, del “diritto ad essere ragazzi” a 15,16,17,18 anni e così via…

Il rock era la loro musica, non più quella dei genitori e dei nonni.

Era la musica dei giovani che volevano cambiare il mondo dei vecchi, buttando a mare anche la loro musica.

Gli avvenimenti storici contribuirono in maniera determinante all’evolversi della situazione.

Non fu una guerra incruenta.

Tra figli e genitori scoppiarono tensioni incredibili: erano due mondi che si fronteggiavano…per la prima volta i genitori dovevano confrontarsi con i loro ragazzi che avevano un modo diverso di affrontare il mondo.

Essere giovani in tutto e per tutto…il rock con le sue canzoni di rivolta li appagava in pieno.

Al diavolo la vecchia musica !

Iniziarono i primi viaggi in altri paesi, fino ad allora previlegio di pochissimi: non erano importanti i soldi…bastava la voglia, un sacco a pelo e via…

Gli scambi di ogni tipo tra ragazzi si fecero sempre più frequenti, le esperienze dei singoli divennero le esperienze di tutti in una sorta di “villaggio globale” ideale ante litteram reale, in barba al computer e internet (oggi infatti puoi giocare a scacchi con un pakistano o scambiarti messaggi con uno zairese e poi magari non sai chi abita al terzo piano del tuo palazzo)

Il rock cuciva il tutto.

Ogni attimo della giornata era accompagnato dalla musica. In ogni posto, in ogni ritrovo, in ogni cantina si suonava “la musica dei giovani”, finalmente consapevoli di esserlo.

Mai prima di ora si era sentito così forte il bisogno di stare insieme, di dividere con gli altri storie, esperienze, sogni.

In tutto questo sta la grandezza del rock, quella di aver contribuito a far si che i giovani si appropriassero del loro sacrosanto diritto di non diventare uomini prima del tempo

Portrait of the listener as a young man Ritratto dell’ascoltatore da giovane Il mio primo disco

Faccio subito le mie scuse a James Joyce, ma il titolo mi piaceva troppo, era quello giusto.

Dalle mie parti siamo molto lontani dalle rive del fiume Liffey che attraversa Dublino, ma in compenso abbiamo un meraviglioso mare, un’aria che profuma di salsedine, che ti riempie i polmoni e che quando tira libeccio, ti schiaffeggia il viso, ti brucia la pelle.

Nella storia del mio primo vinile a 33 giri che, lo rivelo subito, fu Neil Young dell’omonimo cantautore canadese, c’è molta strada in bicicletta per le vie della mia città; lunghi viaggi da una periferia accogliente, quasi campagna, verso il centro, precisamente Piazza Buontalenti, Mercato Centrale, dove mia nonna Silvana gestiva un banco di frutti di mare.

Non era esattamente l’amore per le cozze, che pur esisteva e esiste tutt’ora, che mi spingeva fin là, ma molto più volgarmente ero là per la “mancia”.

Può sembrare brutto detto così, ma vi assicuro che a 12 anni non lo era affatto.

Era una commedia: tutte le volte lei faceva finta di essere sorpresa della mia visita e io facevo il nipote premuroso che faceva chilometri per andare a trovarla.

Non chiedevo soldi, mai fatto ! Cominciavo a girare per i banchi del pesce, fingendo di ammirare i naselli e le sogliole, le occhiate e le acciughe…e lei mi ignorava.

Ogni tanto “mi facevo vedere” ma lei faceva ancora finta di niente.

La scenetta terminava quando lei, stufa di vedermi trepidare, mi metteva in mano un sano biglietto di banca che quasi sempre profumava di mare.

Non penserai che sono venuto a trovarti per la mancia…” mentivo sapendo di mentire e lei lo sapeva !

Con quei soldi, quella volta, avevo deciso di acquistare il mio primo LP, il disco che “non finiva mai”…

La scelta non fu facile: quella era l’età in cui Gianni Morandi, il mio idolo indiscusso fino ad allora, iniziava a starmi stretto…avevo già fatto la conoscenza dei Rolling Stones ma solo a 45 giri…

Alla fine degli anni ’60, l’epoca di questa storia, c’era un bel negozio che si chiamava Pietro Napoli: entrando là si piombava in un luogo di delizie : strumenti musicali, spartiti, dischi e dulcis in fundo, unico in città, tre cabine per ascoltare la musica.

Le dita scorrevano tra gli scaffali, i nomi ignoti si sprecavano. Poi, come se fosse piovuto da un altro mondo, davanti a me apparve il viso dolce e bello di un giovane uomo con i capelli lunghi, che sovrasta palazzi di una città capovolta, tutt’intorno colline pietrose con alberi scheletrici, con un cielo strano, dominato da un sole ancora più strano.

Era fatta, avevo acquistato il mio primo LP.

Neil Young gira ancora sul piatto del mio giradischi, lo conosco a memoria, solco per solco, accordo per accordo. Lo ascolto perchè mi piace e anche perchè mi ricorda l’emozione di mettere insieme più mancette per comprare un nuovo disco.

Oggi mia nonna non c’è più ma ogni volta che lo ascolto non posso fare a meno di pensare a lei, al suo amore, alla sua generosità.

Si, questo disco è più suo che mio.

27 GENNAIO : GIORNO DELLA MEMORIA

   

Spesso, soprattutto da bambino mi sono fatto domade sull’aldilà, sul paradiso, sul purgatorio , ma soprattutto sull’inferno. Molte volte ho cercato di immaginare quel posto tremendo, con i dannati che urlavano di dolore, con l’odore della carne bruciata da fuochi perenni, con i diavoli che con l’immancabile forcone torturavano gli sventurati, ma mai avrei pensato di poter visitare quel luogo sulla Terra. Invece, come il buon Dante, anche io ho visitato gli inferi.

Era una mattina uggiosa di agosto, con il tempo che non prometteva niente di buono nonostante il gran caldo, quella che mi vide varcare il cancello di Auschwitz. Per un appassionato di storia era l’occasione cercata da una vita. La prima sensazione è quella dell’oppressione, nonostante il lager sia ubicato in campo aperto, una senso di pesantezza ti prende immediatamente.

Decine di libri letti, mogliaia di storie, centinaia di personaggi, milioni di fantasmi si materializzarono all’improvviso. Varcare il cancello con la fatidica scritta ARBEIT MACH FREI ti riporta indietro nel tempo e ti fa correre un brivido lungo la schiena.

Un attimo di panico mi assale nel pensare che da quel cancello sono passati milioni di esseri umani che non hanno mai fatto ritorno a casa. La nostra guida, che parla un italiano perfetto, ammonisce un visitatore che sta fumando e gli intima di spengere la sigaretta in quanto Auschwitz è un cimitero-museo e come tale va rispettato. Ti senti smarrito mentre cammini sul selciato di pietre consumate e se ti concentri ti sembra di sentire il calpestio degli zoccoli dei deportati. I vari edifici con il numero del “blocco” sono un pugno nello stomaco: il blocco degli interrogatori, quello delle torture, quello dove il famigerato dottor Mengele faceva i suoi esperimenti sui gemelli, si materializzano davanti ai miei occhi. Ovunque filo spinato, ben sistemato, simmetricamente perfetto e torrette di guardia, poi ancora filo spinato.

Impossibile non rimanere in silenzio davanti al “muro della morte” dove venivano fucilatii prigionieri: migliaia di fori danno l’idea della carneficina. Blocco dopo blocco sale l’angoscia , accresciuta da migliaia di foto di volti di prigionieri uccisi che ti scorrono davanti agli occhi. Non so descrivere l’impressione ricevuta entrando in una sala e trovarsi davanti a tonnellate di capelli umani ben conservati, in un’altra migliaia di scarpe, in un’altra ancora migliaia di occhiali, migliaia di spazzolini da denti, migliaia di pennelli da barba, migliaia di valige con i nomi dei proprietari ancora visibili, migliaia di pentole, tegamini, posate…

La stanza dei bambini poi ti obbliga a deglutire e ti prende un nodo alla gola: vestiti, piccoli giochi, le scarpine di quegli innocenti ti fanno partecipe di una umanità totalmente imbestialita che non ha portato ripsetto dinanzi alla purezza e al pianto di un bimbo.

Auschwitz è terribile, ma Birkenau è peggio !

La foto che centinaia di volte ho visto, quella foto dei binari del treno che arrivano direttamente dentro il lager, adesso era lì, davanti ai miei occhi…allora è tutto tremendamente vero…

Si entra nel campo e subito si materializza un girone dantesco. Sembra incredibile ma ti assale l’odore della morte, un odore acre, soffocante, l’odore che sicuramente avrà trovato Dante quando scese all’inferno con Virgilio.

Ti aspetti in ogni momento di incontrare la morte con la falce che reclama il suo indiscusso possesso di quel luogo. Il campo principale era tremendo ma era pur sempre un complesso in muratura, qua migliaia di baracche,una distesa sterminata di baracche di legno dove venivano ammassate decine e decine di persone.

Solo la prima fila è rimasta intatta a sfidare il tempo…per non far dimenticare.

E’ possibile aprire il vecchio portone di legno che cigola sinistramente e l’irreale appare dinanzi agli occhi del visitatore: impossibile immaginare condizioni di vita più disumane…forse le riserve indiane…

Decine di fatiscenti letti a castello per centinaia di prigioniri, con il pavimento in terra battuta che diventa subito fango, con il freddo pungente che ti “buca “ le ossa.

La capanna dei bagni ha dell’incredibile, con una decina di fori che servivano da latrina comunre, che la rende perfettamente uguale ad un ricovero per animali, soltanto che là trovavano tormento esseri umani.

Uscire significa prendere una boccata d’aria ma immediatamente lo sguardo corre ai binari del treno, allo “slargo” dove avevano luogo le selezioni. E allora ti immagini le persone “scartate” che si incamminavano ignare verso le docce. Mi ritrovo a fare gli stessi passi che milioni di sventurati hanno fatto e mi sembra di sentire le voci di vecchi, donne, bambini, tanti bambini che andavano incontro alla morte.

Il locale delle “docce” è ampio e sono ben visibili ifori da dove veniva iniettato il famigerato Zylon B: sarà suggestione, sarà quel mio essere claustofobico, sarà non so che, ma un senso di mancanza d’aria mi prende e riguadagno celermente l’uscita.

Ora davanti a noi ci sono le rovine di quegli che erano i forni crematori, solo una parte è rimasta in piedi; rovine perchè i nazisti li fecero saltare in aria con la speranza di cancellare ogni traccia,ma essi sono ancora lì, per rendere testimonianza, per far riflettere.

Inizia a piovere, una pioggerellina fitta e insistente che aumenta sempre di più, una pioggia che sembra voglia far capire al visitatore distratto, magari intento solo a scattare foto, che quello è un luogo di morte, un sacrario testimone dell’olocausto.

Mi rendo conto che sia impossibile rendere l’idea di cosa sia un lager, dei sentimenti che quel luogo fa nascere nel nostro animo, delle sensazioni che ti fa vivere.

Vorrei urlare, sfogare la mia rabbia, forse come esorcismo di quello che ho appena visto, un urlo defaticante che ti fa riprendere fiato.

Subito un pensiero mi passa per la testa, un pensiero che rivolgo ad insegnanti ed educatori: tra una gita piacevole e una spensierta, tra una settimana bianca e l’altra, una visita in questi luoghi dovrebbe essere inserita nel programma didattico di ogni scuola che si rispetti. Per non dimenticare…

IERI BERNACCA, OGGI SENEGALESI

 

Dice domani piove…ci vorrebbe Bernacca . Il colonnello Bernacca era un mito, era una vera star del piccolo schermo.
La sera tutta la famiglia si fermava, tutti immobili e zitti, guai a fiatare: il colonnello diceva le previsioni meteo.
Che tempo farà domani? Aspettate stasera e lo saprete, Bernacca non fallisce mai!
Veniva invitato ovunque, nelle varie trasmissioni televisive, ai convegni, perfino nei “salotti”…ovunque.
Ci fosse stato un Nobel per la meteorologia in tv avrebbe stracciato tutti.
I più invidiosi erano gli Inglesi. Loro da sempre sono appassionati di programmi meteo, non tanto per sapere che tempo farà domani, questo dettaglio a loro non interessa.
Interessa loro solo sapere se chi fa le previsioni “ci becca”, insomma, se ci indovina.
E Bernacca “ci beccava”…quasi sempre.
Oggi il buon colonnello morirebbe di fame.
Sarebbe costretto ad aprire una panetteria o fare concorsi pubblici in altri campi, non certo nella meteorologia.
Oggi non abbiamo più bisogno delle previsioni del tempo, basta affacciarsi alla finestra.
Ci sono senegalesi che vendono ombrelli? No? Allora non piove a breve di sicuro.
Si? Ahi ahi ahi, pioggia sicura anche se in questo momento c’è il sole. Se ci sono loro magari uno “scroscio” traditore ci sarà sicuramente.
Come fanno non lo so. Forse fanno come gli Indiani che si sdraiavano in terra per sentire il rumore del galoppo dei cavalli che stavano arrivando.
Loro annuseranno l’aria, avranno calli ai piedi potentissimi che li avvisano…
So solo che “ci beccano”.
Due schizzi d’acqua…zac, decine di ombrelli magicamente appaiono.
Ma dove li tengano? Come fanno in due secondi a riempire i marciapiedi ?
Fino a pochi minuti prima c’era un bel sole…
Sono magici, altro che il colonnello Bernacca!
Dovete andare in ferie? Al mare? In montagna? A fare una scampagnata?
Il consiglio è di portare con voi un meteo-senegalese.
Vi dirà se portare l’ombrello o no.
E poi sarebbe molto utile che le signore ne avessero uno personale. No, non fraintendete…maliziosi!
La massaia deve fare la lavatrice e stendere il bucato’ Dovrà solo chiedere al senegalese addetto al meteo, darà tutti i consigli indispensabili.
Sono loro le nuove star della meteorologia, con buona pace di meteo.it, il Lamma e….Bernacca!

I MIGLIORI ALBUM DEL 2017

   

1 Greg Allman – Southern Blood
2 Van Morrison – Roll with the punches
3 Bob Dylan – Trouble no more
4 Rolling Stones – On air
5 Neil Young – hitchhiker
6 John Mellencamp – Sad clowns & hillbillies
7 Chris Hillman – Bidyn’ my time
8 Tom Russell – Folk Hotel
9 Gang – Radici
10 Magpie Salute – Omonimo
11 Little Steven – Soulfire
12 Chris Stapleton – From a room vol 1
13 Colter Wall – Omonimo
14 Steve Earle – Soyou wannabe an outlaw
15 George Thorogood – Party of one
16 Willie Nile – Positively Bob: W N sings Bob Dylan
17 Tedeschi Trucks Band – Live from the Fox, Oakland
18 Lee Bains III & The Glory Fire – Youth detention
Rivelazione – William the Conqueror – Proud disturber of the peace